Never Alone.
Dopo un po' anche io ho bisogno di scrivere qualche cosa di sentimentale.
se è brutta scusate, ma non è il mio forte, questo genere...

enjoy this

Never Alone…
April guardò ancora una volta i riflessi del sole al tramonto stendersi placidi sull’acqua e dondolare pigramente portati dalle correnti.
La pegaso si sporse quanto più potè sul bordo, fino a provare una fitta lancinante alla schiena che la fece ritrarre sulla sua sedia a rotelle e chiudere gli occhi come se smettere di vedere la luce potesse cancellare il suo dolore.
Ma il suo dolore era più profondo, incancellabile.
April riaprì gli occhi e si sporse ancora, stavolta con più cautela.
Fissò l’acqua dal parapetto della barca che ondeggiava lievemente per le onde gentili che vi si infrangevano.
Infrangersi.
Era buffo come solo quella parola rappresentasse un intero universo per lei.
April chiuse gli occhi e ripensò a quel giorno di dieci anni prima.
Lei e Lonely Shaun si stavano fissando negli occhi sul filo dell’acqua, mentre galleggiavano nei pressi dell’imbarcazione del pegaso.
Mai April aveva provato niente di simile.
Tutto il suo mondo era intrappolato in una fitta rete all’interno di quegli occhi profondi, caldi e sereni, accoglienti quanto un focolare in una gelida notte d’inverno.
I due erano andati vicino ad un’isoletta segreta, di cui solo loro conoscevano l’ubicazione.
Il loro giardino segreto, lo chiamavano.
A ripensarci, ancora oggi April sorrideva, ricordando i bei momenti trascorsi con lui su quella spiaggia dorata, bagnata dal sole d’estate, a tutti quegli splendidi istanti tutti uguali ma tutti perfetti a modo loro a fissarsi negli occhi., a guardare i loro mondi.
Ma quel giorno era diverso.
Shaun era agitato, qualcosa non andava.
“Dobbiamo rientrare, dobbiamo rientrare!” continuava lui dolcemente, con lieve insistenza.
Ma lei non voleva, quello era il loro segreto, voleva goderselo fino in fondo, e sapeva che anche per lui era così.
Lei rideva, pensando che scherzasse, ma lui era serio.
Lei scappava, lo incitava a rincorrerla, la eccitava la caccia, ma lui cercava di farla ragionare.
April socchiuse gli occhi, cercando di soffocare un singhiozzo…
Quanto avrebbe voluto averlo ascoltato, pensò con amarezza.
Alla fine aveva ceduto, ma ormai era troppo tardi.
Erano in mare aperto, l’acqua era piatta in maniera innaturale, ed un inquietante silenzio ammantava con la sua aura magica tutto.
Lei non ci faceva caso, continuava a ridere e scherzare.
Lui, al timone, aveva sul volto uno sguardo preoccupato.
Non pronunciava una parola, non staccava gli occhi dal cielo limpido, pareva assente, come preso da una sorta di sogno, tanto da farla preoccupare.
Ad un tratto gli si dilatarono le pupille.
Le intimò di andare in cabina e di non preoccuparsi, che tra poco avrebbero incontrato mare grosso e che avrebbero ballato un po’, e le assicurò che tutto sarebbe andato bene.
Lei vide la preoccupazione nei suoi occhi e smise di scherzare.
Si recò in cabina, dove attese per un tempo che le parve infinito.
Ad un tratto la barca cominciò ad oscillare…
April dovette aggrapparsi ai braccioli della sedia a rotelle per non svenire.
I ricordi si fecero nebulosi…
Lei era sul ponte… non sapeva perché… l’acqua turbinava tutto intorno a lei, le onde cercavano di affogare la nave con la loro impietosa potenza, il vento soffiava con furia inaudita…
April cercò boccheggiando di avvicinarsi alle cabine…
Si guardava intorno per cercare Lonely, ma di lui non vi era traccia.
La pioggia era troppo fitta perché si potesse vedere alcunché, il vento che ululava nelle sue orecchie, abbassate per proteggerle dalle raffiche sferzanti, la rendevano sorda e muta.
La vela era strappata, e tutti gli oggetti che si trovavano sul ponte poco prima non c’erano più, probabilmente risucchiati dal mare nella sua ingordigia folle.
Ad un tratto lo vide…
April pianse…
Era aggrappato al parapetto, la fune che avrebbe dovuto tenerlo sulla nave era tesa, come se fosse trascinata in acqua…
Shaun cercava freneticamente di sciogliere il nodo che legava la corda alla sua vita, ma le zampe bagnate e l’acqua che incessantemente lo inondava rendeva ardua l’impresa.
Lei si precipitò ad aiutarlo…
Lui la fissò spaventato, le chiese che ci facesse lì, perché non fosse rimasta in cabina, ma lei non lo ascoltava, l’acqua lo stava trascinando a fondo, e lei non poteva permetterlo…
April fissò le sue zampe, poi distolse lo sguardo, vedendovi comparire la corda.
Il timone si staccò…
April gemette…
In una frazione di secondo Shaun capì.
La sua espressione si raddolcì.
Le sussurrò all’orecchio una frase, la loro frase…
Poi la spinse via.
Il timone gli si sfracellò addosso, mandandolo fuoribordo.
Lei impazzì, si fiondo verso il parapetto da cui era volato via Shaun, ma il mare aveva già avuto la sua preda.
Un’onda enorme la travolse, facendola sbattere contro l’albero maestro.
Perse i sensi.
Si risvegliò in un ospedale, le dissero che la schiena era irrimediabilmente rotta.
Lei chiese di Shaun.
Dissero di averla trovato su un’asse, svenuta, mentre galleggiava alla deriva, che non sapevano nemmeno ci fosse uno Shaun.
Era stata fortunata, le dissero.
Fortunata.
Che parola priva di senso.
Le promisero che avrebbero fatto il possibile.
Qualche giorno dopo le comunicarono di non aver ritrovato il corpo.
I due pony della sicurezza marina che vennero a darle la notizia arrivarono di sera.
Lei lo sapeva già, ma non voleva arrendersi.
Non poteva arrendersi.
Si rifiutò di aprire la porta ai due agenti, come se tenere chiusa la porta significasse tenere lontana quella notizia, e che così Shaun sarebbe tornato, per darle ragione.
Passarono gli anni e Shaun non tornò mai più.
E lei tenne chiusa quella porta.
Un giorno di dieci anni dopo chiamò le sue vecchie amiche.
Erano preoccupate per lei.
Chiese loro di portarla a fare un giro in barca, sapendo che il marito di una di loro ne possedeva una.
Partirono e lei le portò alla loro isola.
April aprì gli occhi.
Si sentiva libera.
Non sentiva neanche più il dolore.
Guardò un ultima volta il riflesso del sole allontanarsi sopra di lei e sorrise.
Pensò la frase, la loro frase: “I will come with you where we will be never alone…”e chiuse gli occhi, sprofondando con Shaun…
April guardò ancora una volta i riflessi del sole al tramonto stendersi placidi sull’acqua e dondolare pigramente portati dalle correnti.
La pegaso si sporse quanto più potè sul bordo, fino a provare una fitta lancinante alla schiena che la fece ritrarre sulla sua sedia a rotelle e chiudere gli occhi come se smettere di vedere la luce potesse cancellare il suo dolore.
Ma il suo dolore era più profondo, incancellabile.
April riaprì gli occhi e si sporse ancora, stavolta con più cautela.
Fissò l’acqua dal parapetto della barca che ondeggiava lievemente per le onde gentili che vi si infrangevano.
Infrangersi.
Era buffo come solo quella parola rappresentasse un intero universo per lei.
April chiuse gli occhi e ripensò a quel giorno di dieci anni prima.
Lei e Lonely Shaun si stavano fissando negli occhi sul filo dell’acqua, mentre galleggiavano nei pressi dell’imbarcazione del pegaso.
Mai April aveva provato niente di simile.
Tutto il suo mondo era intrappolato in una fitta rete all’interno di quegli occhi profondi, caldi e sereni, accoglienti quanto un focolare in una gelida notte d’inverno.
I due erano andati vicino ad un’isoletta segreta, di cui solo loro conoscevano l’ubicazione.
Il loro giardino segreto, lo chiamavano.
A ripensarci, ancora oggi April sorrideva, ricordando i bei momenti trascorsi con lui su quella spiaggia dorata, bagnata dal sole d’estate, a tutti quegli splendidi istanti tutti uguali ma tutti perfetti a modo loro a fissarsi negli occhi., a guardare i loro mondi.
Ma quel giorno era diverso.
Shaun era agitato, qualcosa non andava.
“Dobbiamo rientrare, dobbiamo rientrare!” continuava lui dolcemente, con lieve insistenza.
Ma lei non voleva, quello era il loro segreto, voleva goderselo fino in fondo, e sapeva che anche per lui era così.
Lei rideva, pensando che scherzasse, ma lui era serio.
Lei scappava, lo incitava a rincorrerla, la eccitava la caccia, ma lui cercava di farla ragionare.
April socchiuse gli occhi, cercando di soffocare un singhiozzo…
Quanto avrebbe voluto averlo ascoltato, pensò con amarezza.
Alla fine aveva ceduto, ma ormai era troppo tardi.
Erano in mare aperto, l’acqua era piatta in maniera innaturale, ed un inquietante silenzio ammantava con la sua aura magica tutto.
Lei non ci faceva caso, continuava a ridere e scherzare.
Lui, al timone, aveva sul volto uno sguardo preoccupato.
Non pronunciava una parola, non staccava gli occhi dal cielo limpido, pareva assente, come preso da una sorta di sogno, tanto da farla preoccupare.
Ad un tratto gli si dilatarono le pupille.
Le intimò di andare in cabina e di non preoccuparsi, che tra poco avrebbero incontrato mare grosso e che avrebbero ballato un po’, e le assicurò che tutto sarebbe andato bene.
Lei vide la preoccupazione nei suoi occhi e smise di scherzare.
Si recò in cabina, dove attese per un tempo che le parve infinito.
Ad un tratto la barca cominciò ad oscillare…
April dovette aggrapparsi ai braccioli della sedia a rotelle per non svenire.
I ricordi si fecero nebulosi…
Lei era sul ponte… non sapeva perché… l’acqua turbinava tutto intorno a lei, le onde cercavano di affogare la nave con la loro impietosa potenza, il vento soffiava con furia inaudita…
April cercò boccheggiando di avvicinarsi alle cabine…
Si guardava intorno per cercare Lonely, ma di lui non vi era traccia.
La pioggia era troppo fitta perché si potesse vedere alcunché, il vento che ululava nelle sue orecchie, abbassate per proteggerle dalle raffiche sferzanti, la rendevano sorda e muta.
La vela era strappata, e tutti gli oggetti che si trovavano sul ponte poco prima non c’erano più, probabilmente risucchiati dal mare nella sua ingordigia folle.
Ad un tratto lo vide…
April pianse…
Era aggrappato al parapetto, la fune che avrebbe dovuto tenerlo sulla nave era tesa, come se fosse trascinata in acqua…
Shaun cercava freneticamente di sciogliere il nodo che legava la corda alla sua vita, ma le zampe bagnate e l’acqua che incessantemente lo inondava rendeva ardua l’impresa.
Lei si precipitò ad aiutarlo…
Lui la fissò spaventato, le chiese che ci facesse lì, perché non fosse rimasta in cabina, ma lei non lo ascoltava, l’acqua lo stava trascinando a fondo, e lei non poteva permetterlo…
April fissò le sue zampe, poi distolse lo sguardo, vedendovi comparire la corda.
Il timone si staccò…
April gemette…
In una frazione di secondo Shaun capì.
La sua espressione si raddolcì.
Le sussurrò all’orecchio una frase, la loro frase…
Poi la spinse via.
Il timone gli si sfracellò addosso, mandandolo fuoribordo.
Lei impazzì, si fiondo verso il parapetto da cui era volato via Shaun, ma il mare aveva già avuto la sua preda.
Un’onda enorme la travolse, facendola sbattere contro l’albero maestro.
Perse i sensi.
Si risvegliò in un ospedale, le dissero che la schiena era irrimediabilmente rotta.
Lei chiese di Shaun.
Dissero di averla trovato su un’asse, svenuta, mentre galleggiava alla deriva, che non sapevano nemmeno ci fosse uno Shaun.
Era stata fortunata, le dissero.
Fortunata.
Che parola priva di senso.
Le promisero che avrebbero fatto il possibile.
Qualche giorno dopo le comunicarono di non aver ritrovato il corpo.
I due pony della sicurezza marina che vennero a darle la notizia arrivarono di sera.
Lei lo sapeva già, ma non voleva arrendersi.
Non poteva arrendersi.
Si rifiutò di aprire la porta ai due agenti, come se tenere chiusa la porta significasse tenere lontana quella notizia, e che così Shaun sarebbe tornato, per darle ragione.
Passarono gli anni e Shaun non tornò mai più.
E lei tenne chiusa quella porta.
Un giorno di dieci anni dopo chiamò le sue vecchie amiche.
Erano preoccupate per lei.
Chiese loro di portarla a fare un giro in barca, sapendo che il marito di una di loro ne possedeva una.
Partirono e lei le portò alla loro isola.
April aprì gli occhi.
Si sentiva libera.
Non sentiva neanche più il dolore.
Guardò un ultima volta il riflesso del sole allontanarsi sopra di lei e sorrise.
Pensò la frase, la loro frase: “I will come with you where we will be never alone…”e chiuse gli occhi, sprofondando con Shaun…